Come è difficile sopportare ancora questo stato di
insipienza politica, carenza progettuale e amministrativa che contraddistingue
in questo inizio millennio i nostri uomini di governo e gli eventi che si
succedono sulla nostra isola. Due elementi di discussione, due questioni
strategiche per lo sviluppo del nostro territorio. Il ripascimento della
spiaggia di Cavo e il Villaggio Paese di Rio Marina. Mai vicenda risulterà più ingarbugliata,
controversa, lunga e complessa come quella del ripascimento di una spiaggia del
versante orientale, l’unica lunga e sabbiosa del borgo marino di Cavo. O almeno
era lunga e sabbiosa. Eppure tutto cominciò con una semplice scelta,
sicuramente fatta un buona fede, da parte di un’amministrazione comunale di
sinistra. Esisteva sicuramente un problema di erosione del litorale, per cui la
spiaggia negli ultimi anni si era ridotta in maniera considerevole, quasi non
esisteva più. Divenne quindi indispensabile l’intervento dell’amministrazione
comunale. Purtroppo si scelse il progetto sbagliato. Enormemente sbagliato.
Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova proposta di intervento, il cui iter è
già stato definito e concluso. Ma da più parti emergono perplessità e critiche. Il
tessuto economico cavese è stato messo in ginocchio dalla prima scellerata azione sulla spiaggia ed ora le aspettative
sono molte, e l’attesa per vedere le cose migliorare deve finire. Purtroppo il rischio è che il rimedio possa essere
peggiore del male. La sinistra ha commesso un errore madornale nel voler perseguire
un intervento senza avere adeguate progettazioni e tecnici adatti. Ora una
nuova coalizione guida il comune che comprensibilmente vuol dare una risposta
concreta alle aspettative della gente di Cavo; la Provincia è governata ancora
dalla Sinistra che proprio in questo momento deve avere il coraggio di guardare
nel merito del progetto che si vuol iniziare, capire se i tecnici hanno seguito
le giuste indicazioni, cambiare, se è necessario cambiare, modificare e
migliorare. Basta con la superficialità e l’improvvisazione. Vi erano due
ipotesi per risolvere il problema del ripascimento sbagliato e delle sue
conseguenze. La prima; un intervento veloce, dove approfittando si mette mano
anche all’allargamento della strada lungomare, con creazione di una passeggiata,
magari con una pista ciclabile, servizi, parcheggi e quanto serve alle
necessità e alle richieste della fruizione turistica balneare. La seconda; un
vero e proprio progetto di risanamento ambientale secondo i canoni
dell’ingegneria naturalistica. Questo sarebbe più impegnativo e lungo. Inutile
dire che la scelta è stata per la prima via. Ovviamente non ci troviamo più
nella Cavo degli anni 50, dove la spiaggia conserva ancora il sistema dunale,
gli interventi hanno irrimediabilmente compresso l’equilibrio ambientale e ci
troviamo di fronte ad un litorale artificiale. Considerato che la spiaggia è un sistema dinamico
che obbedisce ancora alle dinamiche naturali sarebbe stata una bella sfida,
capire, compatibilmente con le condizioni attuali, se fosse stato possibile
intervenire con un progetto di risanamento ambientale.Ma ci troviamo di fronte a questo tipo di
progettazione, a decisioni della magistratura e a relazioni tecniche ufficiali
già acquisite e non è consigliabile rinviare ancora l’intervento. Il buon senso
suggerisce di evitare contrapposizioni ideologiche, migliorare, dove possibile
il progetto, anche con cambiamenti sostanziali e iniziare prima possibile i
lavori per ridare a Cavo una spiaggia ed un lungomare degni di questo nome.
Altrettanto complessa e lunga la vicenda del
villaggio paese. Chissà chi avrà trovato questo nome assurdo, improponibile
come l’intervento che si vuol realizzare nel vecchio luogo della ex laveria
pirite. Certo come afferma il consigliere comunale Lucia Fasola, discutere di
questo significa fare un bilancio di quello che quest’entità virtuale, cioè il
Parco Minerario, ha realizzato in questi anni. La risposta è fin troppo facile.
Poco, pochissimo, niente in confronto alle potenzialità del patrimonio delle ex
miniere. Incredibilmente la sinistra
locale ha continuato in questi 20 anni a sostenere e supportare un progetto
assurdo e devastante, un ulteriore intervento che distruggerà ambiente,
territorio, storia e cultura della terra di Rio. E non risolverà, anzi aggraverà,
i problemi economici del versante e del capoluogo. Incredibilmente la sinistra
ha continuato a supportare il Parco Minerario nei progetti sbagliati e negli
uomini inadeguati in relazione alle scelte e alle sfide che i tempi imponevano
e impongono. E’ necessario cambiare uomini e invertire di 360° rotta. Sul
villaggio paese e sul parco minerario. Rio e la sua terra, sono oggi una specie
di riserva indiana, diversa dal resto dell’isola e continueranno ad esserlo se
si persevererà nelle scelte sbagliate. Se si continueranno a distruggere le
spiagge anziché recuperarle, se si continueranno a costruire assurdi mega
complessi turistici giustificabili solo in una logica speculativa nuda e cruda
che mal si sposa all’isola e a quello che un Parco Nazionale con un patrimonio
geologico e mineralogico (uno dei 9 siti di importanza mondiale secondo la
Lista delle emergenze geologiche dell’Unesco) unico al mondo può esprimere. Sulla collina delle vecchia laveria pirite –diciamo
noi Verdi nell’ultimo comunicato- oggi insistono manufatti arrugginiti, ma
aggiungo io che non erano arrugginiti qualche anno fa e che qualcuno ha
colpevolmente ridotto in tale stato ed
stato responsabile e complice del depauperamento di quell’enorme patrimonio
storico e culturale come chi si è svenduto e venduto per pezzo per pezzo i
reperti della miniera, dalle locomotive, agli attrezzi, ai minerali. Su quella collina vogliono vomitare circa
45.000 mc di cemento. Eppure averla vista quando funzionava, anche per chi
aveva un’anima ambientalista e poco tecnologica, la Bisarca era incredibilmente
affascinante. Una gigantesca macchina che viveva e respirava come in una visone
futuristica di Marinetti, o in un quadro o una scultura di Boccioni. Avevo
sperato intensamente che si potesse conservare, che potessi io stesso tornare a
visitarla quando volevo in futuro, quasi a renderle omaggio per quello che
aveva fatto in tutti quegli anni insieme a quegli uomini incredibili che la
nutrivano con il loro grasso, le loro cure, la loro assistenza. Perché come in
un incendio senza fine, funzionava, funzionava sempre, non si spegneva mai. E
questa non è una visone poetica della realtà, o un interpretazione incline ad
una bucolicità perduta. Su quella collina c’era davvero una piccola città
industriale e c’erano davvero degli uomini che vivano con lei dedicandole, come
si dice, lacrime e sangue, gioie e dolori. Tante volte ho percorso quella
strada che dalla fine del paese conduce alla Bisarca, sotto il solo cocente
dell’estate, per portare il convio spesso lasciato a casa al genitore minatore
e servo della grande miniera; una strada interminabile, così sembrava a quel
bambino, che mi portava da quegli uomini giganteschi e muscolosi, sempre pronti
ad un complimento, sempre curiosi e inclini al divertimento. Era la loro vita,
e lì alla Bisarca avevano pian piano costruito il loro presidio, il
dispensario, la cucina, i bagni, l’officina, gli spogliatoi. E poi l’immensa
ragnatela di nastri, in una onirica visione escheriana, che si rincorrevano
trasportando negli immensi capannoni in ogni direzione il prezioso ferro che
finiva sull’ultimo nastro della caricazione e da qui nelle stive dei Brick
(erano dodici navi dal Primo al Dodicesimo) che facevano la spola tra l’isola
di “inestausi metalli” e i poli siderurgici del continente. Ritornano quei
momenti passando vicino alle miniere, quando ti penetra nel naso l’odore forte
dello zolfo ed ecco l’epifania che ti fa vedere i volti, i gesti, e ti fa
riascoltare quelle voci che accarezzavano la mente e il cuore. E così forse su
quella collina non sentiremo più quell’odore, ma la fragranza degli olii
abbronzanti, l’odore della gioia virtuale di vivere del turismo e delle
vacanze, incarnata nella falsa realtà degli stereotipi della società dei
consumi. Chi farà accadere tutto ciò sarà responsabile oggettivamente e
moralmente della distruzione dei valori storici, culturali, sociali, delle
emergenze architettoniche e del patrimonio archeominerario. E sarà responsabile
della definitiva distruzione delle potenzialità culturali, scientifiche,
ambientali ed economiche che il comprensorio riese ancora possiede. Spesso i
verdi hanno preso posizione su questo comprensorio, forse le nostre posizioni
sono state poco lette o valutate. Non ci immaginiamo, come afferma qualcuno,
magari non indigeno, una riserva indiana popolata di indigeni di interesse
etnologico. Ci immaginiamo uno sviluppo qualitativo. Non ci immaginiamo
un’espansione tentacolare di strutture ricettive, di residence o di cose molto
brutte come i misteriosi villaggi paese. Ci immaginiamo solo un paese, con una
grande tradizione culturale e storica che recupera il proprio patrimonio
culturale, urbano e urbanistico che lo migliora e, in questo caso sì, lo
espande anche (gli alberghi servono in paese). Una paese che recupera la sua
tradizione marinara con un porto turistico dotato di servizi e infrastrutture.
Ci immaginiamo un paese con un grande
museo mineralogico e con il parco delle miniere fatto di emergenze
architettoniche, di vecchi impianti recuperati ad una moderna fruizione
didattica e magari con la collina della Bisarca ancora a raccontare le storie
dei minatori.
Agosto 2005 Marino
Garfagnoli. Verdi Arcipelago Toscano
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